Eugenio De Luigi
esecutore
luogo: Venezia, laboratorio di Decorazioni, dipinture, restauri Eugenio e Guido De Luigi
data: 15 aprile 2009
intervista di: Orietta Lanzarini
durata: 1:00:05
principali opere citate: casa e studio Scatturin, casa Ottolenghi, casa Zentner, Padiglione Italia “la Poesia” (Expo Montréal 67)
biografie: Eugenio De Luigi, Orietta Lanzarini
Orietta Lanzarini [O.L.] Quando ha conosciuto Carlo Scarpa?
Eugenio De Luigi [E.D.L.] Chi lo sa, è un tempo talmente distante… Ero ragazzo e l’ho conosciuto perché era amico di mio padre e di mio zio, Mario De Luigi; mi facevo voler bene. Facevo il liceo artistico ma non mi piaceva studiare, allora papà mi iscrisse a un’università svizzera. Dopo due anni è saltata fuori una ragazza, nata a Londra da mamma svizzera e papà di Belgrado... per farla breve, me ne sono innamorato e dopo cinque anni che le facevo la corte l’ho sposata. Per cinque anni, geloso che ero, le ho retto la scala sotto la Pala d’oro, perché Gigi Scarpa, il fratello di Carlo, le aveva assegnato una tesi sulla Pala.
O.L. Carlo Scarpa e Mario De Luigi si erano conosciuti all’Accademia, no?
E.D.L. Sì, e anche papà: avevano studiato insieme e io ero sempre in mezzo a loro.
O.L. Scarpa suo zio divennero molto amici. Lavoravano anche insieme?
E.D.L. Qualche volta sì.
O.L. Quando ha iniziato a lavorare con Scarpa? Quali furono i primi lavori insieme?
E.D.L. I primi lavori con Scarpa li ho fatti nei ritagli di tempo, solo dopo mi sono dedicato completamente a lui. Prima lavoravo con mio padre che era arredatore della CIGA e faceva grandi alberghi. Dopo mi sono interessato ai lavori di Carlo perché mi sembravano i più interessanti e i più divertenti del tempo, erano così moderni, ben diversi dalle cose in stile che si vedevano, e a me piacevano.
O.L. Ha cominciato a lavorare con Scarpa per le Gallerie dell’Accademia?
E.D.L. Sì, ho cominciato con le Gallerie dell’Accademia e da quel momento non ho più smesso. Il primo lavoro importante che ho fatto con Scarpa è stato in Canada, a Montreal, dovevamo presentare l’Italia; non ricordo più esattamente cos’era, ma ce l’ho presente.
O.L. Era un allestimento e avevate fatto un pavimento.
E.D.L. Sì, il pavimento con una statua in mezzo.
O.L. Un Donatello.
E.D.L. Sì, una statua di Donatello; che rabbia non ricordarsi le cose!
O.L. Quando Carlo Scarpa doveva fare un nuovo lavoro, come ve lo presentava? Cosa vi chiedeva di fare? Come sceglieva i colori?
E.D.L. I colori? Li sceglieva su dei campioni di carta: erano bellissimi, usava sempre colori forti. Più avanti abbiamo adottato un libro come riferimento, un libro di Rothko. Magnifico, era divertente lavorare in quel modo; gli operai lavoravano a qualsiasi ora del giorno e della notte, si dedicavano al lavoro perché ne erano appagati e apprezzavano il risultato, questo era molto bello.
O.L. Scarpa vi seguiva, stava con voi mentre lavoravate?
E.D.L. Sì, ci seguiva. Si facevano i campioni e dopo ci diceva «Partite!»; poi veniva a vedere. Era unico come direttore dei lavori perché ci dava soddisfazione: noi stessi rimanevamo soddisfatti di quel che si faceva, una cosa molto importante.
O.L. Quindi instaurava un rapporto personale con tutti gli operai?
E.D.L. Sì, e questo facilitava il lavoro.
O.L. È mai capitato che Scarpa vi facesse rifare completamente un intonaco perché non gli piaceva il risultato finale?
E.D.L. No. Era molto raro che accadesse perché prima si faceva il campione e poi lo si seguiva sempre. Non ricordo di avere rifatto lavori che non gli piacessero, anzi. È così che ci ha educato ad avere fiducia in noi stessi; difatti certe volte ci mandava anche da soli, ci diceva «Vai e fai, voglio così».
O.L. Lei quindi aveva un rapporto di amicizia con Carlo Scarpa, com’era?
E.D.L. Amici? Beh, sì. Intanto, quando andavamo al ristorante mi toccava sempre pagare, tant’è vero che papà mi telefonava e mi diceva «Basta Eugenio! Non ti mando più soldi, arrangiati!». Carlo era sempre senza soldi. La moglie mi voleva bene da matti. Quando è mancato ho messo sulle scale di casa mia un passamano che era in casa dei signori Gaggia. Quando è mancato Carlo è stata una tragedia, oltretutto aveva deciso di farsi seppellire sotto un muro del cimitero Brion; sennonché un giorno è venuto Brion e ha detto «Quel posto è mio», e Carlo fa «Ah no, allora io vado lì», cioè in corrispondenza della fessura sul muro. Lui ogni giorno faceva un salto e andava a guardarsi il posto dove voleva andare a morire. E quando è mancato ho dovuto pensare io a sistemarlo lì perché conoscevo il suo desiderio. È accaduto anche per la moglie, non si sapeva dove seppellirla allora ho detto «Sentì, perché non ne tira i pie mettemola assieme al Carlo».
O.L. Quando eravate insieme, al ristorante o altrove, di cosa parlavate? Le parlava dei suoi lavori?
E.D.L. Sì, raccontava anche di quello che succedeva in giro per il mondo. Ci insegnava il gusto per le cose, a toccare con le mani per sentire il piacere delle cose. Del risultato mi sono accorto a Palermo, perché ho dovuto andarci da solo e arrangiarmi con i colori.
O.L. Ha lavorato a Palazzo Steri con l’architetto Calandra?
E.D.L. Sì, ho lavorato con Calandra: aveva lui l’incarico di seguire il progetto con Scarpa. È stato bello, difatti siamo ancora amici, ci telefoniamo ogni tanto.
O.L. Com’è stata invece l’esperienza di Palazzo Abatellis?
E.D.L. Magnifica, intanto perché Palermo mi piaceva da matti... ma del lavoro dell’Abatellis purtroppo ho ricordi sbiaditi.
O.L. Si ricorda quando ha incontrato Wright? Doveva essere il 1951.
E.D.L. Il mio incontro con Wright è avvenuto a Venezia con Carlo Scarpa, e da quel momento siamo rimasti sempre amici, tant’è che anni dopo mi chiamò dalla reggia dello scià di Persia, figurati! Sono partito con mia moglie e quando sono arrivato là mi ha mostrato il lavoro che stava facendo per la sua casa, con tutte le stanze attorno a una scala a bovolo. Mi dice «Eugenio, devi dorare tutte le erte delle porte e tutte le testiere dei letti». «Va bene – dico – però non a stucco lucido. Le fa lisce?». «No, non lisce, le voglio ruvide»; erano incredibilmente scabre, non avevo mai visto un intonaco grezzo così ruvido. «Vedrai che lavoro viene, meraviglioso» mi dice. E io, «Va bene, ma ghe vorrà un chilo de oro», e lui fa «non starte mica a preocupà, ti po’ ordinar tutto queo che ti vo’, qua semo ricchi dunque non ghe xe bisogno». E io penso «guarda ti che lavoro, mi che fasso i stucchi lucidi de Scarpa, e lu me dise de far sta roba qua». Quando torno a Venezia, dopo due settimane, ricevo una telefonata urgente: «Eugenio, devi immediatamente disdire tutto!», «Come?», «Sì, devi disdire l’ordine dell’oro perché hanno destituito lo scià». E con questo vi saluto.
O.L. Ricorda chi sono le persone in queste fotografie?
E.D.L. Questa è la moglie, con Wright e la figlia. Qua invece c’è l’architetto Vianello, che era suo assistente. Questo è un altro architetto di cui non ricordo il nome, ce l’ho presente ma il nome non lo ricordo.
O.L. Lei ha fatto delle bellissime foto delle opere di Scarpa. Perché le fotografava?
E.D.L. Le facevo perché mi piacevano, così ho imparato anche a fotografare. Ho delle belle macchine fotografiche, sai.
O.L. Prima raccontava di Montreal, ha fatto altri viaggi di lavoro con Scarpa?
E.D.L. Ricordo quando abbiamo esposto gli affreschi fiorentini a Londra, fu una bella mostra. Poi andavamo in macchina su fino a Zurigo.
O.L. A Zurigo c’è la casa Zentner.
E.D.L. La casa degli Zentner era una bella villa, e anche là abbiamo fatto tutti stucchi lucidi, calce lucida: un lavoro che ci dava molta soddisfazione.
O.L. Siete stati molto tempo a Zurigo con Scarpa?
E.D.L. Sì, quando si partiva con un lavoro voleva dire tre, quattro, sette anni come minimo.
O.L. I committenti che rapporto avevano con Scarpa? Partecipavano al progetto o si fidavano?
E.D.L. Si fidavano ma dialogavano anche con Scarpa: comprendendo quello che lui voleva raggiungere erano contenti. Semmai erano scontenti per i tempi, ma andava così.
O.L. Quali altre case ricorda?
E.D.L. Per l’avvocato Scatturin abbiamo fatto un soffitto fantastico, di mille colori che poi, mescolati su un intonaco ruvido, sono diventati un colore unico. Era come l’intonaco ruvido che avrebbe voluto Wright in Iran: lui lo voleva d’oro, adesso capivo il perché, sarebbe stato magnifico. In casa Scatturin abbiamo fatto prima un colore, poi un altro e un altro ancora: tre colori; dopo aver raschiato via il di più è venuto un soffitto coloratissimo, meraviglioso. I muri invece erano a calce lucida, nelle varie stanze c’era stucco lucido.
O.L. L’avvocato era imparentato con il pittore Tancredi, no?
E.D.L. Tancredi era mio compagno di scuola e sua sorella, che era una bellissima ragazza, ha sposato l’avvocato Scatturin. Ci siamo conosciuti in questa maniera. Era un po’ matto, come me insomma, però ci volevamo bene, quante ne abbiamo combinate!
O.L. Sa che Carlo Scarpa era stato denunciato perché non aveva il titolo di architetto e l’avvocato Scatturin lo difese, vero?
E.D.L. Sì.
O.L. Il progetto della casa gli fu regalato da Scarpa proprio per questo motivo.
E.D.L. Beh, non so cosa non avrebbe regalato Scarpa, era talmente largo di manica. Ecco perché era sempre senza soldi, non si faceva mai pagare, o poco. Gli artisti una volta erano così.
O.L. Questa [indicando le pagine di un vecchio numero di «Casa Vogue»] è villa Ottolenghi, una delle ultime opere di Scarpa. Si ricorda dell’avvocato Ottolenghi? Come andò il lavoro di questa casa?
E.D.L. Dell’avvocato non mi ricordo, ma guarda che colori abbiamo fatto: l’azzurro in calce lucida, per esempio. Eri così soddisfatto di quel che facevi che non ti accorgevi neanche di lavorare.
Vedi queste colonne? Ho scoperto le colonne di Scarpa venendo giù dalla Germania, c’è anche la data sotto alla mia fotografia, il 12 marzo del 1998.
O.L. Scarpa conosceva bene la sua tecnica di lavoro?
E.D.L. La mia? Altroché se la conosceva, era sicuro di quello che si faceva. E poi la calce – si è sempre saputo – è un materiale vecchio ma ideale per tutto.
O.L. Intende dire che è molto resistente?
E.D.L. Sì, dal bianchesin al più raffinato.
O.L. Pensa che Scarpa abbia inventato dei modi nuovi di usare gli intonaci, i marmorini ecc.?
E.D.L. No. Lui usava due cose, la calce lucida e la calce opaca, oppure stucco lucido o stucco opaco, a seconda dell’effetto che voleva ottenere, ma niente di più.
O.L. Faceva dei disegni per mostrarvi cosa voleva o vi spiegava a voce?
E.D.L. Disegnava sul muro oppure su un foglio di progetto.
O.L. Si ricorda della Querini Stampalia? Allora c’era Giuseppe Mazzariol.
E.D.L. Bepi. Era simpatico ma era un professore. Era un ammiratore di Scarpa. Alla Querini abbiamo fatto il soffitto, la sala a calce lucida, forse qualche muro o la scala, è un pezzo che non ci vado.
O.L. Adesso è molto cambiata.
E.D.L. Ah sì? È perché quando quegli intonaci si sporcano non sanno più come aggiustarli. Se ci dipingi su, la calce sopra non la puoi rifare, bisognerebbe rifare l’intonaco ma verrebbe a costare troppo.
O.L. Questo dei costi è mai stato un problema per Scarpa?
E.D.L. Non è mai stato problema, quello che voleva lo si faceva. Però non abbiamo mai dovuto rifare una cosa. D’altra parte, se si doveva rifare una parete a calce, si rifaceva anche l’intonaco.
O.L. I committenti non se ne lamentavano?
E.D.L. No.
O.L. Perché sapevano chi era Scarpa.
E.D.L. Beh, sì.
O.L. Come faceva ad avere certi contatti? Era famoso in città?
E.D.L. Era famoso in città e anche fuori, perché dopo aver fatto Castelvecchio, cosa vuoi…
O.L. Lei ha conosciuto Licisco Magagnato?
E.D.L. Sì, tutti li ho conosciuti. L’ultima volta che abbiamo lavorato a Castelvecchio abbiamo fatto un colore blu.
O.L. Era la parete della pinacoteca al piano superiore. È vero che disegnava anche mentre parlava? In archivio ho visto tanti pacchetti di sigarette con sopra degli schizzi.
E.D.L. Prendeva appunti su qualunque roba, anche sui pacchetti di sigarette.
O.L. Ci racconta qualcosa di queste due tessere di mosaico?
E.D.L. Sono quelle che Carlo faceva attaccare sulle pareti per comporre un disegno. E queste le ho trovate quando lui è mancato, sono rimaste a me.
O.L. Sono state usate alla Querini e nella tomba Brion. Avete fatto voi gli intonaci a marmorino del cimitero Brion?
E.D.L. I marmorini, sì; e sono ancora là, vedi? Stanno alla pioggia, alle intemperie, e sono lì, perfetti. E quelli [indicando intorno a sé] sono i campioni fatti da Guido, così vedi anche come sono fatti i campioni dei materiali.
[E.D.L. mette una sciarpa intorno al collo dell’intervistatrice].
E.D.L. Ecco, guardati.
O.L. Però adesso mi dice cos’è.
E.D.L. Sì, è un campionario di colori che si è fatto fare da Caroli ad Asolo. Serviva a scegliere i colori, insieme al libro di Rothko. Eccolo qua [sfogliando le pagine del libro], guarda che colori ci sono...
O.L. Quindi per i suoi intonaci Scarpa si ispirava ai colori di Rothko e a questo campionario in tessuto?
E.D.L. Sì. Questo [la sciarpa] credo che sia il più bel documento storico su “Scarpa e i colori” che ci sia. In seguito ne ho fatto fare uno di gradazione più chiara, ce l’ho di sopra, ma quello originale è questo.
O.L. Scarpa aveva la casa in rio Marin. Se la ricorda?
E.D.L. Sì, era semplice semplice. C’era lo studio e basta, la casa serviva solo per dormire.
O.L. Invece la casa di Asolo?
E.D.L. Che bella che era… Arrivavo sotto casa sua con la mia Topolino.
O.L. Come vi mettevate d’accordo sui progetti, andava lei in studio da Scarpa o veniva lui?
E.D.L. Mi spiegava le cose da fare in studio e poi, naturalmente, sul posto; i colori li voleva vedere sempre sul posto e si facevano lì.
O.L. Scarpa le spiegava anche il motivo per cui sceglieva certi colori?
E.D.L. Sì, è naturale.
O.L. In conclusione, che ricordo ha conservato di Carlo Scarpa?
E.D.L. Un bel ricordo, ma è rimasto dentro di me, lo so esprimere solo con l’affetto e con i miei pareri, niente di più. L’unica cosa che mi dispiace è di non aver conosciuto e saputo capire suo figlio, mi sarebbe piaciuto ma non è successo, cosa vuoi, è il destino. La cosa di cui sono contento invece è questa sciarpa, i colori che sappiamo fare e che ho trasmesso a mio figlio.